Chinsai

Mercanti di spezie e sale

La città di Chinsai

Riassunto:

Cap CXXXII: Della rendita del sale.

In questo capitolo Marco Polo descrive le grandi ricchezze della città di Chinsai: zucchero, spezie, seta, ma soprattutto sale e delle enormi somme che queste rendono ogni anno al Gran Can.

Botteghe orientali

Il manuale di mercatura

Nel Milione ovviamente non manca l'eco dei manuali di mercatura, libri in cui i mercanti annotavano ciò che ritenevano più utile o proficuo per le loro attività durante i viaggi. Nell'opera si incontrano spesso passi in cui Marco descrive le colture, l'artigianato e gli scambi commerciali di una località, appuntando particolari quantitativi (un esempio è il passo qui citato) e qualitativi
Cap CXXXII: Della rendita del sale.
Or ve conterò de la rédita ch’àe il Grande Kane di Quisai e delle terre che sono sotto di lei; e prima vi conterò del sale. Lo sale di questa contrada rende l’anno al Grande Kane ottanta tomain d’oro: ciascuno tomain è ottantamila saggi d’oro, che monta per tutto seimilaquattrocento di saggi d’oro – e ciascuno saggio d’oro vale piúe d’un fiorino d’oro –, e questo è maravigliosa cosa. Or vi dirò de l’altre cose. In questa contrada nasce e favisi piú zucchero che in tutto l’altro mondo; e questo è ‘ncora grandissima rendita; ma io vi dirò di tutte spezie insieme. Sapiate che tutte spezierie e tutte mercatantie rendono tre e terzo per cento; e del vino che fanno di riso ànne ancora grandissima rendita, e de’ carboni e di tutte dodici arti, che sono dodicimila stazzoni, n’à ‘ncora grandissima rendita, ché di tutte cose si paga gabella – de la seta si dà dieci per cento. Sí che io Marco Polo, ch’ò veduto e sono stato a far la ragione, † la rendita sanza il sale vale ciascun anno duecentodiecimila tomain d’oro; e quest’è il piú smisurato novero del mondo di moneta, che monta quindici milioni settecentomila. E questo è de le nove parti l’una de la provincia. Or lasciamo stare di questa matera, e diròvi d’una città ch’à nome Tapigni.

Parafrasi
Ora vi racconterò della rendita che il Gran Can ricava dalla città di Chinsai, dalla terra e dalle popolazioni che ne dipendono; prima di tutto v parlerò del sale. Il sale di questo paese rende ogni anno al Gran Can ottanta tomani d’oro: ogni tomano equivale a settantamila saggi d’oro, che fanno in tutto cinque milioni e seicentomila saggi d’oro e ogni saggio d’oro vale più d’un fiorino: e questa è una cosa straordinaria. Ora vi dirò di altre cose. Nel paese cresce e si produce più zucchero che in tutto il resto del mondo e questo anche costituisce una grandissima rendita. Parlerò di tutte le spezie insieme. Dovete sapere che le spezie e tutte le altre merci rendono al re il tre e un terzo per cento, e anche dal vino di riso che fanno egli ricava una grandissima rendita, come pure dal carbone e da tutte le dodici corporazioni, delle quali vi sono dodicimila botteghe, perché su ogni cosa si paga una tassa: sulla seta si paga il dieci per cento. Io Marco Polo che l’ho visto essendo stato a fare il controllore delle gabelle, vi dico che la rendita, senza il sale, equivale ogni anno a duecentodieci[mila] tomani d’oro, ed è la più gran quantità di moneta del mondo, poiché ammonta a quindicimilioni e settecentomila. E questa è una delle nove parti della provincia. Ora lasciamo stare questo argomento, e vi parlerò di una città chiamata Tapingiu.
Le spezie nel Medioevo, tra realtà e immaginario
Poche cose, nel Medioevo, hanno riscosso tanta fortuna come le spezie. I loro colori, i loro profumi e i loro intensi sapori, hanno stimolato nell'immaginario medievale, immagini di sacro e di profano, di terre lontane e di misteri, immagini capaci di far compiere all'uomo una delle più grandiose spedizioni della storia, quella della ricerca della "Via per le Indie". Il concetto di spezie nel Medioevo è assolutamente lontano da quello che abbiamo oggi; queste non erano solo un aroma utilizzato strettamente nell'alimentazione ma molto di più. L'uso delle spezie aveva una vastissima applicazione che andava dal campo farmaceutico a quello alimentare passando da quello sacro-rituale e simbolico, non tralasciando quello sociale. Inoltre, non erano compresi in questa definizione solo sostanze vegetali quali semi, bacche, foglie e cortecce, come accade oggi, ma anche animali e minerali. Queste erano le spezie nel Medioevo: qualcosa di profumato, raro e costoso, terapeutico e miracoloso, sacro e immorale, proveniente da terre avvolte nella leggenda conosciute con il generico nome di Indie. il commercio delle spezie avveniva in modo indiretto. Gli occidentali non raggiungevano i luoghi di produzione delle spezie per acquistarle, ma si recavano ai grandi mercati del Medio Oriente, i cui mercanti facevano da mediatori tra produttori e consumatori. Questo ovviamente portava ad un aumento dei costi di vendita, esaltato, inoltre, dai lunghi viaggi affrontati da entrambe le parti, viaggi spesso conditi da fantastiche leggende legate ai luoghi di crescita e ai metodi di raccolta delle diverse spezie, pericolosi per la stessa vita dei mercanti e popolati di animali e personaggi fantastici. Perciò ben presto divennero un simbolo di status nella società medievale e coloro che potevano permettersi di acquistarle non rinunciavano ad ostentare in modo smisurato le loro capacità economiche, soprattutto durante i banchetti.